Interazione è una parola bellissima, perché è una parola che parla di possibilità e di complessità.
Progettare, avendola bene in mente, consente di allargare lo sguardo per cercare chi e cosa possono aiutare a creare, aggiustare, inventare.
Le viviamo quotidianamente, tra persone, luoghi, oggetti. Ma metterle al centro della ricerca è la vera sfida se vogliamo essere realmente trasformativi.
Nella progettazione (e poi esperienza) di eventi, spesso alcune interazioni vengono ignorate e ciò porta, da un lato, a oggettivi problemi nel percorso esperienziale delle persone coinvolte, e dall’altro, a una sorta di inaridimento verso l’esterno e verso l’interno, il nostro sé.
Andiamo con ordine.
In questo post mi occupo di interazioni legate agli eventi da tre punti di vista diverso
- Noi e l’utente:Interazioni umane e fisiche nella customer journey
- Noi e la comunità: Interazioni con il territorio che ci ospita
- Noi e noi stessi: Interazioni emozionali.
Noi e l'utente
Ho già scritto più volte in questo blog quanto l’approccio dello human design thinking sia di enorme aiuto nella progettazione e nella risoluzione dei problemi. In particolare ne ho scritto qui e qui.
Ora faccio un passo avanti e mi affido al service design thinking, che progetta l’intangibile (il servizio) con gli strumenti del design thinking.
‘’Service Design è un approccio interdisciplinare che combina diversi metodi e strumenti di varie discipline tra loro. É un nuovo modo di pensare diverso dal sistema monolitico delle discipline accademiche.’’
- Mettiamo la persona al centro (lo spettatore, il volontario, l’ospite dello sponsor, lo speaker, l’artista o lo sportivo, il fornitore e tutte le persone che vivono dentro e intorno all’evento).
- Prendiamo tutte le persone che entrano in contatto con quella persona e mettiamole dentro il team di progettazione.
- Guardiamo al paesaggio completo. Naturalmente è impossibile riuscire a considerare ogni singolo aspetto del servizio (pensa agli eventi!), tuttavia l’intenzione dovrebbe sempre essere quella di vedere il contesto oltre lo spazio del servizio.
Faccio un esempio: lo spettatore a una partita di basket ha fame.
Metodo monolitico: organizzare il punto ristoro
Io organizzatore parlo con il fornitore di panini e gli ordino un certo quantitativo di cibo. Definisco un contratto con alcune regoline, per esempio che il cibo avanzato non è a carico mio. Poi parlo con il servizio pulizia e dico di mettere i bidoni vicino al punto ritiro cibo.
Lo spettatore, se ha fame va a prendersi un panino. Stop, fine dell’esperienza? Oppure no. Te lo immagini quel panino? Non so perché ma io lo vedo bene: panino con pane molle, servito in modo squallido. Unico bisogno a cui si pensa è che lo spettatore ha fame e gli si da qualcosa, qualsiasi cosa per placare la fame.
Metodo interattivo: organizzare l’esperienza ristoro
Io organizzo un gruppo di lavoro con i referenti per il food and beverage, con la funzione spectators service, con il marketing (che includa gruppo sponsoring e anche branding), con il team delle pulizie, con gli architetti o allestitori, con i responsabili accreditamento e cosi via.
E pongo una domanda: come risolviamo il bisogno di mangiare del nostro spettatore (attenzione freccia) affinché le sue emozioni da partita non siano tradite da un’esperienza incoerente sul piano ristoro? Cioè, in parole semplice; affinché lo squallore del ristoro non sia di disturbo all’esperienza complessiva? (Il behavioral management da questo punto di vista ci spiega bene perché anche una sola esperienza negativa può essere l’unica davvero decisiva).
La differenza è che qui mettiamo le emozioni della persona al centro e di queste emozioni si occupa tutto il team, da chi gestisce la pulizia, a chi fa i panini, dallo sponsor che può amplificare l’esperienza al gruppo accrediti che può trovare soluzioni tecnologiche da integrare nel biglietto e così via.
Un semplice hot dog lo progetto insieme a loro con un obbiettivo chiaro: sfruttare le competenze di ognuno, mescolarle e integrarle per garantire un hot dog da ricordare, un pezzo vivo di esperienza con al centro il rispetto del mio affamato spettatore.
Tante teste vedono la stessa cosa con occhi diversi. Ed è nell’interazione degli sguardi che faccio la differenza.
Questa cosa, che pare complessa, non lo è nel momento in cui la cultura progettuale nel mio team è quelle delle interazioni orizzontali tra competenze. E può diventare il metodo per progettare qualsiasi altro touchpoint di un evento.
Provate a pensare ai touchpoint condivisi tra persone con ruoli diversi dentro l’evento, pensiamo agli ingressi misti in una venue, per esempio: qui – a maggior ragione – tutte le persone del team che hanno a che fare con anche solo con un frammento della esperienza veicolata in quel touchpoint, possono essere coinvolte.
Noi e la comunità
Ci sono gli eventi extraterrestri e gli eventi comunitari.
Gli extratetrrestri sono quegli eventi che arrivano, calano su uno spazio la carovana, le infrastrutture, la gente, vanno in scena e poi se ne tornano alla loro casa. Talvolta lasciano spazzatura, a volte anche altro, a volte macerie o conti da pagare.
Gli eventi comunitari sono quegli eventi che si sviluppano non dentro una capsula, ma nelle pieghe del paesaggio e con le persone che lo abitano. Questi eventi hanno lo scopo di lasciare un’eredità. E spesso sono eventi gentili.
Un evento senza reali interazioni con la base locale è davvero solo una sorta di bruco di passaggio, che magari offre divertimento, ma non semina.
Cosa vuol dire per un evento, interagire con la comunità?
A seconda dl tipo di evento, ci sono tanti modi:
- Coinvolgere nel team professionisti della comunità e non considerarli ‘’stranieri’’ a casa propria.
- Formare eventuali junior che possano gestire poi, avendo imparato un mestiere, l’eredità che l’evento lascerà.
- Creare partnership con aziende e fornitori locali.
- Coinvolgere la popolazione, le scuole, le associazioni, a seconda del tipo di evento
E fare tutto ciò non ‘’ospitando al tavolo’’ ma essendo tutti protagonisti e attori del processo di progettazione prima e della gestione poi.
Tornare alle radici e creare anche nuove forme di interazioni. Concedersi la possibilità di mescolare codici ed esperienze per creare impatto e innovare.
Il tema è davvero attuale, quasi per caso ho scoperto che la prossima conferenza di management organizzata da Sinergie Sima (dove avevo partecipato parecchi anni fa con un paper sulla legacy degli eventi culturali) tratterà proprio il tema delle interazioni e delle radici locali.
Abbiamo bisogno di tornare alle radici e gli eventi, nel loro essere effimero, rischiano troppo spesso di essere usati per spremere emozioni, e non viceversa per creare nuove possibilità di rigenerazione con le comunità. Le interazioni locali sono il punto di partenza.
Noi e le emozioni
Alcuni giorni fa parlavo con una cara amica di come il mestiere che condividiamo nei grandi eventi sportivi sia un misto di odi et amo.
Interagiscono tra loro emozioni diverse e opposte.
Interagiscono tra loro reazioni alle emozioni molto diverse. E questo perché in uno spazio concentrato interagiscono tra loro persone che stanno là tutte insieme solo per un tempo limitato, e ci stanno con un crescendo di pressione, e dunque: conflitto o condivisione.
È una cosa molto difficile da spiegare, perché sembra un ossimoro avvitato di emozioni.
Gestire le nostre emozioni nelle interazioni con le emozioni degli altri è centrale. Prima di tutto per il nostro benessere e poi per il benessere del team e per i risultati.
I metodi sono tanti, il mio consiglio, per iniziare è di ascoltare un podcast che parla di emozioni, quelle basi, e ci spiega perché, anche quelle che spesso chiamiamo negative, sono importanti.
In conclusione: le interazioni sono la grande possibilità di apertura e cambiamento, da un punto di vista progettuale sono generosità e insieme intelligenza. L’ego fa un passo indietro e si apre agli altri per migliorare tutti e insieme.
Questa è la nuova puntata con la lettera I di Interazione del
Dizionario Tecnico Emozionale dell’Event Design & Management.