Ricordo un evento, era il 1998, ero in Svizzera, erano i Mondiali di Hockey. Avevo 28 anni. Io mi occupavo di coordinare il centro copie, ovvero il team di volontari che ogni giorno stampavano e fotocopiavano centinaia di fogli con risultati di partite, classifiche, analisi del gioco, comunicati stampa e che poi partivano spediti per distribuirli nelle tribune stampa e TV, nelle aree hospitality, al centro media. Cosi via.
Era un lavoro, il nostro, orrendo, perché della partita, dell’evento in generale non vedevamo niente. Sempre chiusi in uno stanzone circondati da fotocopiatrici, con il rumore delle macchine in azione. Nonostante ciò eravamo diventati un bel team. Avevamo creato tra noi quella cosa bellissima dei grandi eventi; codici e rituali. E nonostante il lavoro nascosto, ci divertivamo. Un giorno, il grande general manager è entrato nel nostro stanzone rumoroso con un gruppo studio (altri organizzatori) per spiegare loro come funzionava il nostro lavoro.
Non ci ha nemmeno salutati, non una parola spesa per noi, come fossimo invisibili, macchine tra le macchine. Per lui eravamo operai indegni di attenzione. Il nostro team rimase deluso. Ed io, in quel momento mi dissi che non avrei mai, mai trattato così le persone qualora fossi diventata un ‘’capo’’.
Questa mia piccola storia privata forse non ha a che fare con le soft skills (che io, ispirata da Silvia Zanella, preferisco chiamare human skills), ma racconta di un modo di gestire le relazioni al lavoro che oggi non ha futuro. Il libro della Zanella ne parla in modo ampio: il mondo del lavoro sta cambiando e i vecchi paradigma non funzionano più.
I modelli verticali del Novecento
Io, per ovvi motivi anagrafici ho iniziato a lavorare dentro quei modelli. Ero acerba, eppure abbastanza presto, mi sono resa conto che non volevo imitarli perché non mi ci sentivo a mio agio. Perché la relazione con le persone intorno a me per me era più importante del potere.
Anzi, per dirla tutta: mi sentivo molto più forte nell’essere me stessa e dunque umana, che nel recitare con una maschera molto maschile.
Negli anni sempre più, mi sono occupata di competenze trasversali. Ho imparato il mestiere, ho sperimentato strumenti, ho sviluppato le mie hard skills e insieme ho lavorato su me stessa per nutrire altre competenze, che in parte già mi appartenevano, ma che avevano bisogno di consapevolezza e di pratica.
Negli eventi siamo tutti più vulnerabili. Il tempo stretto, la pressione, gli imprevisti, la massima concentrazione di attività ci sfiancano e ci stancano. Ecco perché praticare nuove competenze umane è salvifico. Lo è per noi e per le persone che incrociamo e tocchiamo.
Soft skills ed eventi: la bellezza (meno) visibile
Il successo di un evento non è dato solo da ciò che si vede in superficie: se lo staff, i collaboratori, il mio team è devastato (e accade), è vicino al burn out (e accade), è litigioso e in conflitto perenne (e accade), è incapace di risolvere i problemi (e accade) o preso dal panico (e accade) allora la colpa non è loro, è della leadership, che si è preoccupata di prendere gente per fare cose, magari con competenze specialistiche anche di altro profilo, e non si è preoccupata di mettere queste persone in relazione tra loro e di ascoltare la loro umanità.
Sul tema human skills, (c’è anche chi le chiama – non ha caso – power skills) oggi si trova una ricca letteratura.
Qui mi piace elencarne alcune che a mio avviso sono fondamentali nel lavoro dell’event management, ma prima di farlo, ci vuole un salto ‘’dentro’’. Un salto dentro noi stessi.
Self awereness: conditio sine qua non per una human leadership
Si dice spesso che le hard skills (le competenze tecniche) si possono imparare, quelle soft no. O le hai o sei fritto.
Certo, se sei cresciuto in una famiglia per nulla empatica, sarà molto difficile che tu possa diventare realmente empatico, perché ti manca il codice che si apprende da bambini. Eppure anche in questo caso, io sono ottimista, perché c’è sempre una possibilità. Un salto dentro vuol dire che come leader di un gruppo puoi esprimere appieno competenze soft solo e sei consapevole di te stesso. E il leader oggi non è solo il capo, ognuno – in fondo – esprime una sua leadership, se pensiamo a una struttura organizzativa meno rigida e con più connessioni interne.
Abbattere i propri sabotatori interni (come li chiama Shirzad Chamine), far lavorare il sistema 2 del nostro cervello (quello riflessivo), come spiega Daniel Kahnemann, o ancora, ascoltarsi a fondo e lavorare alla propria self awereness – ne parlo meglio nel video – sono passaggi obbligati.
Quindi prima lavoriamo su noi stessi, poi possiamo dedicarci agli altri.
5 soft skills fondamentali per l’event management
→ Flessibilità
Si programma e poi non funziona. Arriva un imprevisto. Accade qualcosa che scombina i piani. Negli eventi la flessibilità non può essere ignorata. Flessibile vuol dire rinunciare a qualcosa che si era progettato e che non funziona, perché l’evento non ha una seconda chance. Lo spettacolo va in scena ora e lo scopo è far andare in scena lo spettacolo.
Per essere realmente flessibili negli eventi si deve avere una grande capacità di osservazione e di ascolto per capire quale è la soluzione migliore in quell’istante. Significa adattarsi a ciò che accade, significa avere una mente libera volta al risultato e non imbrigliata in schemi, egoismi, paure.
→ Collaborazione
Mi è capitato di lavorare a eventi in cui un settore non collaborava con l’altro, come se fossimo là a fare cose diverse. Collaborare negli eventi vuol dire fare anche ciò che nel tuo ‘’mansionario’’ non sta scritto. Collaborare vuol dire comunicare e condividere. Avendo lavorato a tanti eventi sportivi, mi verrebbe da dire, che quando lavori a un evento non sei tu la persona in gara, ma sei la persona che insieme a tante altre costruisce il palcoscenico per chi andrà in gara. Quella è la mission condivisa. Non devi vincere tu, deve vincere il team
→ Fiducia
Fiducia vuol dire scommettere sugli altri, vuol dire delegare non compiti ma spezzoni di vita dell’evento, responsabilità, azioni vitali. Fiducia vuol dire condividere informazioni e non trattenersele. Fiducia vuol dire, rischiare, ma anche e soprattutto nutrire un clima in cui tutti si sentano bene e siano pronti a mettersi in gioco, dentro uno spazio sicuro.
→ Empatia
Al bando egocentrismi e affermazioni di potere. Al bando bastoni. Al bando urlate e mortificazioni. Dentro un evento siamo tutti sotto pressione, e ognuno di noi reagisce in modo diverso. Ascoltare, mettersi nei panni dell’altro (pure di uno spettatore, di una hostess , di chi deve pulire i bagni) vuol dire creare di nuovo un luogo in cui le persone stiano bene, creare le condizioni per dare accoglienza alla fiducia.
→ Vulnerabilità
Io ho pianto a più di un evento. Ho anche urlato e lanciato una penna contro un muro. Ho anche passato notti insonni per l’ansia. Siamo tutti vulnerabili. Questa negli eventi è forse la competenza più importante di tutte: dare accoglienza alla vulnerabilità e accettare l’errore. Accettare le nostre fragilità. Smettere i panni da super eroi, ed essere semplicemente umani tra umani che cercano di mettere in scena qualcosa di bello.
A che pro, dirai. Tanto poi l’evento finisce.
Perché tanta fatica?
È questo il punto: l’evento finisce, ma noi umani continuiamo a vivere.
E proprio quell’evento può essere per tutti noi un momento di cambiamento, di trasformazione, di apprendimento, di costruzione di maggiore conoscenza del sé. E tutte queste cose sono la vera possibilità potenziante dentro ogni evento.