”Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.”
Vi chiederete chi ha scritto questa cosa così vera e percepibile oggi, nel 2022.
E forse vi sorprenderete. Si tratta del punto 1, di un libro classico, scritto da Guy Debord, filosofo francese, nel 1968.
Mille Novecento Sessantotto! Il libro si chiama: ”La società dello spettacolo’‘.
Quando i dipendenti lavorano davanti ai clienti, ha luogo un evento teatrale.
Quest’altra citazione, altrettanto provocatoria, è invece stata scritta 30 anni dopo, nel 1996 ed è il cuore di un libro fondamentale quando parliamo di esperienze e di experience design (e dunque di rappresentazione e messa in scena). É tratta dal libro: ”L’economie delle esperienze’‘ e gli autori sono due americani, Joseph Pine e James Gilmore che in questo volume – in modo molto efficace – raccontano come la società sia passata dall’essere un’economia di servizi all’economia delle esperienze verso una nuova economia delle trasformazioni.
Non voglio ubriacarvi di citazioni e di libri, ma ecco, quando parliamo di esperienze è – a mio avviso – da questi due libri che si deve partire. E ciò per due motivi importanti:
- imparare a progettare e costruire esperienze per i clienti (e gli spettatori negli eventi)
- e allo stesso tempo, tuttavia, restare vigili per non scivolare nel non autentico o – peggio ancora – nella manipolazione.
Esperienza dentro e fuori
Oggi non ci sono più dubbi che l’experience design sia centrale, a maggior ragione quando progettiamo eventi.
In genere usiamo la parola Experience, proprio per inquadrare attivazioni volte a coinvolgere emozionalmente i clienti/spettatori e garantire loro momenti felici e insieme una memoria positiva, tale da fidelizzare il cliente verso ciò che abbiamo offerto.
Negli eventi si parte dalla customer journey, che dovrebbe essere sempre progettata con il supporto delle scoperte fatte nella psicologia comportamentale, in modo da annullare il più possibile gli effetti negativi dei pain points, spesso non eliminabili (per esempio la coda al botteghino).
D’altra parte gli eventi, proprio come le esperienze sono effimeri, finiscono e diventano dunque dei concentrati straordinari di esperienze.

Negli eventi sembra un gioco facile. L’esperienza è ciò che accade sul palcoscenico. Noi dovremmo – in teoria – occuparci solo di far arrivare in modo fluido gli spettatori sotto quel palcoscenico.
Se però pensiamo al libro di Pine e Gilmore, ci sarà chiaro che i ”servizi” che mettiamo in scena – dall’acquisto del biglietti alla visione dello spettacolo – non potranno essere solo servizi. Devono cioè essere pensati come momenti esperienziali in totale armonia con ciò che metto in scena.
Pensiamo a DisenyLand: l’espressione massima dell’esperienza armonica, pervasiva, diffusa. Ogni cosa là dentro è parte di una stessa narrazione, ogni singola persona si mette in scena, tutto diventa teatro.
Sento già le obiezione: ”Si, ma è tutto finto!”
Vero, tutto finto, ma per questo vero! 🤔
Quando entro a Disney Land so che entro in un luogo finto ed è il suo essere dichiaratamente finto a renderlo vero. In fondo ci mettiamo in scena anche noi visitatori, e ci facciamo i selfie con Biancaneve.

Disney Land ci insegna due cose fondamentali:
- l’esperienza deve essere autentica (anche se dentro un mondo autenticamente falso)
- ogni persona e ogni oggetto deve essere coerente con la narrazione.
Il fuori evento è pure evento
Il grande vantaggio dell’esperienza Dinsey è che dormi e mangi dentro il villaggio e dunque l’esperienza è progettata in modo totale.
Quando, invece, organizziamo eventi in uno stadio, in un teatro, nelle piazze di una città, possiamo certamente progettare tutti i touch point di nostro controllo per garantire armonia nel percorso dello spettatore, ma non possiamo controllare tutto.
O meglio, forse controllare no, ma guidare e indirizzare si.
Lo ha fatto la Germania per la Coppa del Mondo di Calcio nel 2006, formando 6000 persone che lavoravano nelle strutture ricettive affinché agissero tutte in modo coerente con il messaggio ufficiale: ”Ospiti tra amici”. Questo era il claim che si proponeva di far conoscere al mondo una Germania diversa rispetto ai soliti stereotipi. Si è parlato in questo caso di ”Feel-Good-Effect”. E di fatto la percezione cambiò. I tedeschi sono diventati simpatici.
Ne parlo in questo video.
Come fare?
Come sempre, ormai è chiaro: mettersi nei panni degli altri. Immagina il tuo spettatore che → arriva in treno nella tua città, → che cerca un taxi, → che va in hotel, → che esce per mangiare, → che poi prende un autobus e che alla fine → arriva al tuo luogo dell’evento.
Può arrivare felice o nervoso. Dipende come sono andare le cose con il taxi, l’hotel, il ristorante e l’autobus.

Non riuscirò a controllare tutto, ma posso scegliere, quali di questi touch point sono rilevanti e lavorarci insieme.
Se lo ha fatto la Germania su un’intera nazione, è qualcosa che evidentemente possiamo fare anche noi in scala minore.