Perchè abbiamo (tanto) bisogno di tornare a essere spettatori.

Ricordo come fossero ieri due esperienze, due momenti della mia vita, vividissimi, uguali nel mio ruolo di spettatrice, eppure diversi a partire proprio dal diverso contesto in quel mio ruolo.

Ero al Guggenheim di NewYork e c’era un’esposizione di Rotkho. Ricordo questa tela enorme davanti a me con le sfumature di rosso, come un mare infinito in cui immergermi. Ero rimasta non so quanto davanti al quadro e mi erano uscite le lacrime dalla bellezza, non solo perché vedevo finalmente quell’opera enorme dal vivo, davanti a me, ma soprattutto per quel momento di solitaria immersione dentro un quadro.

Molti anni dopo, uno scenario totalmente diverso. Ero in un bar di Porta Ticinese a Milano. Era l’estate del 2006 ed era la Finale dei Mondiali. Della partita non ricordo nulla. Mi è rimasta dentro, nella memoria, però (e ancora vibra nel corpo se la racconto) l’energia folle che riempiva la sala. E poi, all’esito finale l’urlo collettivo. Sedie che volavano e risate che andavano su tutto il viso e abbracci intensi, liberatori, matti e poi il caos.

In entrambe le situazioni io stavo nel ruolo della spettatrice.
Eppure, che differenza!

Davanti al quadro ero fisicamente ferma, ero in contemplazione, e se è vero che dentro di me qualcosa stava accadendo, questo accadere era intimo, racchiuso solo dentro di me.

Davanti allo schermo gigante del bar non ero sola. Ero ammucchiata ad altra gente, che non conoscevo, ero folle insieme ai folli. L’effetto dell’esperienza non poteva essere trattenuto in una solitaria gioia, ma aveva bisogno di uscire, di abbracciare, di urlare, di esprimere con tutto il mio corpo la gioia insieme agli altri.

Scrive Mauro Berrutto in un bellissimo articolo pubblicato su Enne, il magazine del Polo del ‘900 di Torino, dedicato allo sport:

‘’Avete mai visto due persone abbracciarsi di fronte alla Gioconda? Un gruppo di amici urlare dalla gioia leggendo una pagina di Gabriel Garcia Marquez? Un padre di famiglia viaggiare con il clacson spiegato per una battuta be riuscita del suo attore preferito? C’è qualcosa di razionale in tutto ciò? No, ed è questa la meraviglia dello sport.’’

Ci si può identificare in un personaggio di un romanzo, ci si può sentire commossi da un quadro, si può piangere davanti a un film, ma nello sport accade una cosa diversa. Ci si identifica ‘’oltre il limite della ragione,’’ come scrive Mauro Berrutto.

Lo spettatore sportivo è attore, narratore e costruttore del grande show. Ne è parte integrante. Un tassello senza il quale la gara è monca.

È bello poter tornare agli eventi in presenza.

Perché significa ridare loro un senso, che va ben oltre la vittoria o la sconfitta, significa ridare loro materia.

Se, infatti, lo spettatore davanti a un quadro è esterno alla cornice, per quanto possa immergersi con l’anima tutta, nello sport è dentro la cornice.

Fisicamente. È esso stesso materia del quadro. La cornice lo ingloba in un magma unico.

Fuori c’è il mondo ‘’normale’’ e dentro c’è quell’irrazionalità che accompagna un gioco, sono quelle lacrime, quelle urla, quel respiro bloccato, quello stringersi, quell’abbracciarsi.

Eh sì, perché tornare agli eventi sportivi in presenza vorrà dire anche tornare ad abbracciarsi.

 

La foto del post è di Hanson Lu / Unsplash