Quando la leadership trasforma il potere in un verbo

In questi giorni, come se fossero stati sparsi nell’aria fiori, ho accolto e raccolto qua e là molto stimoli sul tema #leadership. Stimoli e parole, per la verità, che insieme creano un paesaggio davvero ricco di speranze, ma anche di urgenza.

Stiamo vivendo un difficilissimo momento storico a livello globale, ma proprio per questo dentro il dolore, più di prima ancora, si stanno facendo spazio nuove fioriture.

Le crisi portano sempre con sé cambiamenti ineluttabili, ma non sono esse il driver unico del cambiamento, ne sono semplicemente la spinta finale.

Il bisogno di cambiare in realtà già striscia sotterraneo prima, ed esperti e abili osservatori ne parlano, si trovano qua e là articoli, immagini, dichiarazioni, movimenti, che preannunciano, assaggiano, osservano il nuovo che prende forma. Ma sono slegati, atomi separati. Poi arriva la crisi, e quel bisogno di nuovo non è più rimandabile, quell’urgenza di cambiamento emerge come una palla dall’acqua.

Ecco: il bisogno di una nuova forma di leadership è, oggi, una di queste palle, spinta in superficie dalla forza dell’acqua, che preme ancora di più a causa della pandemia. Non mi riferisco alla leadership astratta, ma alla leadership fatta di parole, alla semantica della leadership e che oggi chiama davvero nuove possibilità.

I semi

1. Leadership ai tempi di Zoom

Ho partecipato a un webinar organizzato da Assimanager in cui Kris Perquy ha parlato di leadership nel mondo digitale elencando le caratteristiche più importanti del leader in questo momento:

  • Resilienza prima di tutto personale: devi saper prendere cura di te prima di prenderti cura di altri.
  • Teamwork: rendere più forti i punti di forza e aiutare le persone a a riconoscerli, dove i fallimenti sono la migliore scuola per tutti quanti insieme
  • Leadership: cioè vero e profondo ascolto
2. Le soft skills femminili

Un altro seme, meraviglioso, che alla parola ascolto si lega, è fiorito nel bellissimo confronto di una diretta Facebook organizzata da Torino Città per le Donne, in cui Silvia Zanella, autrice di ”Il futuro del lavoro è femmina”, Paolo Ferragatta (imprenditore) e Valeria Ferrero (manager e coordinatrice del tavolo ”lavorare” per Torino Città delle Donne) hanno parlato di leadership, di competenze, di soft skills.

Un confronto pieno di stimoli e di concreta (ed esperita) possibilità di cambiare paradigma.

E a me è venuta in mente una citazione di Einstein, che va per la maggiore di questi tempi e che dice: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose..” ma che soprattutto, nella parte di solito tralasciata ci offre la vera possibilità di cambiamento, auspicata da Silvia Zanella e messa in campo da Paolo Feragatta (andate a vedervi il video!):

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi  supera sé stesso senza essere ‘superato’.

Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. E questa per me è leadership, anzi è servant leadership.

Non si tratta di comandare, di gestire potere, si tratta al contrario di servire le persone, dai clienti ai collaboratori. Servire, perchè siamo tutti esseri umani.

Ricordo che quando – in tante diverse occasioni – avevo lavorato come press manager ai grandi eventi, il mio compito era garantire che tutti giornalisti avessero le migliori condizioni possibili per poter scrivere il pezzo più bello della loro vita.

E da direttrice della Coppa del Mondo di Sci in val Gardena pensavo sempre che il mio ruolo fosse quello di aiutare la fantastica squadra di 800 persone (che rendeva possibile l’evento),a svolgere nel miglior modo possibile il lavoro per un obiettivo che avevamo condiviso insieme. Questa è la servant leadershsip, ma io ancora non la chiamavo così.

3. Gli obiettivi oltre sé stessi

Nulla di nuovo, dunque. Forse che sono solo le parole a cambiare?

E arrivo al penultimo seme. Sebbene con un vocabolario diverso, ne parlava già Jim Collins nel suo bestseller Good to Great: l’obiettivo di un buon leader non è sé stesso, ma sono gli obiettivi aziendali. E a questo io oggi aggiungo con convinzione che gli obiettivi aziendali non bastano, ci vuole anche il benessere delle persone, di tutte le persone, come anche Diane Laschet ha evidenziato qui su LinkedIn, perchè senza quel benessere, gli obiettivi alla lunga non si potranno raggiungere. Non più, per lo meno.

4. La parola potere e le donne

E infine, tutti questi fiori al vento mi hanno riportato alla memoria un articolo letto un anno e mezzo fa su Internazionale. È una recensione a un libro e parla soprattutto di potere politico (maschile): quello visto come una ”questione elitaria, abbinata al prestigio, al carisma individuale della cosiddetta leadership, e spesso, anche se non sempre, a un certo grado di celebrità”. Da questo tipo di potere, secondo Mary Beard, autrice del pezzo, ”le donne in quanto genere – non come singoli individui – sono escluse per definizione.”

Ed ecco che allora oggi, con tutte questi semi che vengono piantati, con questa crisi che rende urgente un cambiamento culturale, con un dibattito pubblico più sensibile, con le esigenze vere che proprio in questo momento stanno premendo e che Silvia Zanella ha descritto nel suo volume, la leadership deve cambiare partendo da una parola.

La parola potere.

Scrive Mary Beard nek 2019:

Bisogna cambiare la struttura. Questo significa concepire diversamente il potere: bisogna separarlo dall’idea di prestigio, ragionare in termini di collaborazione, pensare al potere della base e non solo dei leader. Significa vedere il potere come un attributo o perfino un verbo, non come qualcosa da possedere: il potere è la capacità di essere efficaci, di fare la differenza nel mondo, e il diritto di essere presi sul serio.

E non è (solo) una questione di genere. È una necessità per affrontare le sfide del futuro, per superare le onde del cambiamento che preme, senza essere, per dirla alla Albert Einstein, superati e dunque inesorabilmente sconfitti.

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