Quella volta che firmai ”direttore” e invece ero direttrice.

 

(Un collega austriaco, infatti, a una cena ufficiale, complice forse il buon vino, mi aveva confessato che mai e poi mai il suo club avrebbe accolto una donna in quel ruolo. Accadeva 20 anni fa.)

In quel contesto, che anche in Italia era (ed è) pesantemente sbilanciato verso il maschile, solo una volta, in una lettera diretta a un gruppo di uomini in cui trattavo un tema spinoso in un momento di grande conflitto avevo firmato:

Stefania Demetz – Direttore Generale.

Oggi non lo farei più.

Avevo in quei mie più immaturi anni, molta meno consapevolezza di oggi. E in quell’occasione sentivo il bisogno di pormi in modo autorevole oltre il contenuto del messaggio che inviavo, come se quel contenuto in sé non lo fosse già a sufficienza e come se il ruolo che ricoprivo non mi conferisse già la giusta autorevolezza.

Dice Vera Gheno in questa bellissima intervista (da leggere tutta):

”La triste verità è che molti nomina agentis al femminile sono percepiti e autopercepiti come dequalificanti e quindi molto spesso sono le donne stesse che preferisco essere chiamate al maschile. Tante volte succede che le donne mi dicano “Io ho lavorato tanto per fare l’avvocato, non voglio svilire il mio titolo con avvocata”. Ma che razza di discorso è? Maestra lo dici, regina lo dici, cassiera lo dici, però avvocata no, giammai, è svilente.”

Nello sport questa attitudine a me pare molto più diffusa, che in altri ambiti lavorativi.

Non so bene se sia per mancanza di consapevolezza o se – cosa che temo – il tema della parità di genere è non solo poco avanzato, ma molto osteggiato; non so se sia per timore (in un mondo di gioco maschio) o se sia per convinzione (come la direttrice d’orchestra che preferisce definirsi direttore).

Molto più probabilmente le motivazioni sono un po’ tutte queste insieme.

Ma se vogliamo che le donne possano avviarsi alla carriera, crescere con posizioni dirigenziali, entrare nelle cabine di comando esattamente come gli uomini, anche le parole diventano importanti. Anzi è proprio dalle parole che dovremmo partire, per un ”nuovo” vocabolario più giusto e più vicino a ciò che è la realtà:

anche le donne stanno dentro lo sport e sono atlete, direttrice, allenatrici, arbitre …

 

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